Esperienza e riflessioni sulla vendetta.
Agosto 2011
Ero nel mio letto intento a farmi un breve riposo.
Ad un certo momento suona il campanello della porta. Mio fratello va ad aprire.
Dopo qualche secondo sento mio fratello chiamarmi. Mi chiede di andare alla porta perché c'è un pacco per me da ritirare.
Mi alzo molto infastidito perché il mio meritato riposo veniva interrotto.
Vado alla porta. Ritiro il pacchetto e firmo la ricevuta. Il corriere se ne va.
Ritorno nella mia stanza e chiedo a mio fratello perché ha pensato necessario disturbarmi visto che il pacco poteva esser ritirato da lui anche se era indirizzato a me.
Mi risponde che dal momento che ero in casa non vedeva ragione che non lo ritirassi io stesso.
La sua risposta è ineccepibile, semplice e convincente eppure qualcosa in me non può accettare questa verità.
Una forte irritazione, odio e desiderio di vendetta mi assalgono, ma diversamente dal passato, questa volta il mio livello attenzionale è più alto e così decido di approfittare dell'occasione per capire meglio quale meccanismo stava scattando dentro di me.
Comincio ad osservarmi sospendendo il giudizio su chi avesse ragione, chi fosse il colpevole, chi il responsabile.
Ecco che mi rendo conto che ho negli occhi l'immagine di me stanco sta nel letto. Ecco che mi colgo come il guerriero che si gode il suo sospirato riposo. Io, che dopo una giornata faticosa cerco di recuperare le forze per continuare la battaglia. Un dolore mi coglie, il fastidio per aver interrotto quel sonno. Che somma ingiustizia!
Sorge una sorta di empatia, mi guardo e mi compatisco. “Tu non meriti questo dolore!” - sento ripetere.
In quel momento avverto il chiaro registro che una divisione si sta producendo in me. Ecco la distanza che separa la coscienza! La distanza che la coscienza pone di fronte al dolore. E' uno strano dolore perché il corpo non mi manda impulsi “autentici” piuttosto sento il corpo tradurre la sofferenza.
Quell'immagine del cavaliere ferito permane, resta lì sospesa e compresente. E' come se quella compassione mi riproponga l'immagine di me dolorante. Entro in un ciclo di ri-sentimento. Mi ri-sento. E' ridondante! E' come il pianto di un bambino... inconsolabile!
Cosa mai può togliermi da questo ciclo infernale? Cosa mi permette di liberarmi?
E' l'azione! Ma quale azione? Un'azione contraria ovviamente! Vendetta, desidero vendetta!!
Quel guerriero defraudato delle sue prerogative chiede di esser rimesso sul suo piedistallo, in groppa al suo cavallo brandendo la spada vendicativa. Che sia fatta giustizia e si elimini la causa di tanta sofferenza: MIO FRATELLO!
Che possa sentire il dolore, lo stesso dolore che ha provato il guerriero. Che possa ricordarlo PER SEMPRE affinché non osi ancora alterare la nobiltà del cavaliere.
Questa è la radice della vendetta, questa è la radice del risentimento.
E' la frustrazione dell'aspettativa che in un'ultima istanza è la frustrazione del Senso. E' il fallimento del Senso. Un fallimento che si compie grazie a questa capacità tutta umana della coscienza di simpatizzare, di essere empatica, di innamorarsi ingenuamente e di pretendere che anche il prossimo abbia lo stesso innamoramento, la stessa misura delle cose. Quando si scopre che quest'innamoramento e identificazione non è corrisposto, allora è tradimento, delusione! Si è nudi difronte al mondo, si è indifesi e spaesati, esattamente senza il registro di appartenere. E' Narciso che ama la sua immagine.
Quello che fallisce quindi è quel mondo fantastico in cui la maschera vive. Un surrogato di vita che raggiunge gli onori di realtà, una realtà però che fallisce.
Qui sta la cattiva coscienza. La coscienza che coglie il suo imprigionamento ie nel quale il ri-sentimento motiva l'azione. E' un'azione reattiva al servizio di un fantomatico insogno.
In questa dimensione la vendetta non può che essere subdola, sotterranea, infima perché nasce dalla polvere in cui si crede di esser stati gettati.