Forse l’aspetto più preoccupante della crisi attuale consiste nello scontro tra le diverse culture. Fino a non molto tempo fa, le grandi civiltà si sviluppavano separatamente, in base soprattutto a fattori endogeni e solo occasionalmente interagivano, in forma più o meno profonda, attraverso lo scambio commerciale, l’influenza culturale e religiosa, le migrazioni, le guerre1).
Oggi, nel villaggio globale, tutte interagiscono con tutte. Attraverso i mezzi di diffusione di massa penetrano nelle nostre case, nei nostri stili di vita, visioni del mondo diverse, finalità e valori contrastanti.
Dove sta il buono e dove il cattivo? Tutto diventa relativo. Nelle grandi metropoli, in uno spazio fisico ristretto, coesistono esseri umani con paesaggi culturali, punti di riferimento, modelli di vita diversi e a volte opposti.
Dove sta il bene e dove il male, se ciò che è buono per me è diverso da ciò che è buono per il mio vicino?
Per il Movimento Umanista in questo consiste la gravità e il significato della crisi attuale.
Credo che non avremo difficoltà nell’essere d’accordo che a partire dalla presente situazione di globalizzazione –e dalla quale non è possibile tornare indietro- si aprono due strade:
- una lotta distruttiva tra le diverse culture per raggiungere l’egemonia, in cui alla fine ne prevarrà una su tutte, con la conseguente comparsa di una nuova dimensione imperiale a livello planetario,
- oppure la creazione di una nazione umana universale, in cui le differenti culture possano convivere, ognuna contribuendo con la propria esperienza, la propria identità, i propri colori, la propria musica e il proprio modo di avvicinarsi al divino.
Arriviamo quindi a un altro punto che ci interessa discutere: Come può contribuire il Movimento Umanista alla costruzione della nazione umana universale?
Per noi, l’umanesimo, che nasce con forza in Europa in epoca rinascimentale e che ubica l’essere umano e la sua dignità al centro di tutto, non è un fatto esclusivamente europeo. Già esisteva in altre culture, come per esempio nell’Islam, in India, in Cina. Chiaramente veniva chiamato in altro modo, dato che erano altri i parametri culturali di riferimento, ma era presente implicitamente sotto forma di “atteggiamento” o di “prospettiva di fronte alla vita”.
Quindi, nella nostra concezione, l’umanesimo risulta essere un fenomeno che nasce e si sviluppa in diverse parti del mondo e in diverse epoche. È per questa ragione che è possibile imprimere una direzione convergente a culture diverse che attualmente si trovano in contatto in modo forzato e conflittuale.
Ma… In base a quali indicatori storici possiamo parlare in questi termini e sviluppare questa interpretazione? In quale periodo si può parlare di «umanesimo» per quelle culture che hanno avuto una storia complessa ed estremamente varia?
Secondo noi, in tutte le grandi culture della Terra è possibile riconoscere certi momenti, che noi chiamiamo «umanisti», e che presentano indicatori precisi.
In quei momenti,
Il Movimento Umanista pone l’essere umano nella dimensione della libertà. In questa concezione la coscienza umana non è un riflesso passivo deformato del mondo materiale, ma è fondamentalmente attività intenzionale, attività incessante d’interpretazione e ricostruzione del mondo materiale e sociale.
L’essere umano, anche se è parte del mondo naturale in quanto possiede un corpo, non può essere inteso come un semplice fenomeno zoologico, non ha una natura, un’essenza definita, ma è piuttosto un «progetto» di trasformazione del mondo materiale e di sé stesso.
Il progetto umano collettivo è, per il Movimento Umanista, l’umanizzazione della Terra, ossia l’eliminazione del dolore fisico e della sofferenza mentale, e quindi l’eliminazione di ogni forma di violenza e discriminazione, che privano gli esseri umani della propria intenzionalità e libertà e li riducono a cose, a oggetti naturali, a meri strumenti dell’intenzionalità altrui.
Il Movimento Umanista sintetizza tutto ciò nella massima: «Niente al di sopra dell’essere umano e nessun essere umano al di sopra di un altro».
Ma si potrebbe obiettare: Non è forse Dio al di sopra dell’uomo? Non è forse una scintilla divina ciò che rende l’uomo libero e fondamentalmente diverso da tutti gli altri esseri animati? Perché, dunque, non si colloca Dio, la parola di Dio, i comandamenti di Dio, al di sopra dell’essere umano? Non è Dio il centro di tutto, come insegnano le grandi religioni?
Per noi è molto importante distinguere tra religioni (con i propri libri sacri, le proprie teologie, i riti e i culti) e spirito religioso.
Lo spirito religioso si è manifestato nella storia in modi che non coincidevano necessariamente con i canoni stabiliti e accettati dalle religioni.
Noi rispettiamo le religioni e le intendiamo come cammini per avvicinarsi all’ineffabile, ma comprendiamo che il luminoso, il divino, non si può ridurre a parole o immagini umane.
Sappiamo anche che la fede –che muove le montagne– non può venire imposta e che essa può apparire o scomparire in diversi momenti della vita. È per questo che accettiamo tra di noi atei e credenti di tutte le religioni.
Vorrei concludere con le parole di Silo, il fondatore del Movimento Umanista. Si tratta di un frammento di un suo discorso intitolato Il «Senso della Vita»:
«…dichiaro innanzi a voi la mia fede e la mia certezza basata sull’esperienza nel fatto che la morte non chiude il futuro, che la morte, al contrario, modifica lo stato provvisorio della nostra esistenza per lanciarla verso la trascendenza immortale. Non impongo la mia certezza né la mia fede e vivo accanto a coloro il cui modo di porsi nei confronti del senso della vita è diverso dal mio; tuttavia mi sento obbligato ad offrire, per solidarietà, il messaggio che riconosco rende libero e felice l’essere umano. Per nessun motivo eludo la responsabilità di esprimere le mie verità, per quanto esse possano apparire discutibili a chi sperimenta la provvisorietà della vita e l’assurdità della morte. D’altra parte non chiedo mai agli altri quali siano le loro credenze personali ed in ogni caso, pur definendo con assoluta chiarezza la mia posizione su questo punto, proclamo per ogni essere umano la libertà di credere o non credere in Dio e la libertà di credere o non credere nell’immortalità. Tra le migliaia e migliaia di donne e di uomini che, fianco a fianco, lavorano con noi in modo solidale, si contano atei e credenti, persone con dubbi e certezze; ma a nessuno viene chiesto quale sia la sua fede; e tutto ciò che viene dato, viene dato come un orientamento, affinché ciascuno decida per proprio conto quale sia la via che meglio chiarisca il senso della sua vita. Evitare di proclamare le proprie certezze non è coraggioso, ma tentare di imporle non è degno della vera solidarietà».
Nient’altro. Molte grazie.