Oggigiorno le relazioni tra etica e politica sono molto complesse e addirittura tortuose, al punto che sembrano costituire universi antagonisti e apparentemente incompatibili. Quasi tutte le attività umane hanno un codice etico preciso: esiste un'etica del giornalismo, un'etica della medicina e così via, per tutte le cose che gli esseri umani devono fare per affrontare la vita.
Al contrario, la politica è l'unica attività che sembra basata su una specie di pragmatismo implicito che dipende quasi completamente dalle convenienze congiunturali, una terra di nessuno che lascia le porte aperte a qualsiasi tipo di corruzione. Tuttavia questo tipo di approccio verso l'attività pubblica ha finito per presentare il conto ai suoi rappresentanti rispetto all'insieme della società e oggi il discredito et ico della classe politica è un fatto evidente, in particolare tra i più giovani, che sembrano avere già emesso il loro verdetto lapidario e irreversibile: “i politici sono corrotti e spregevoli e non possiamo contare affatto su di loro”. Detto questo, hanno voltato le spalle al potere, astenendosi dal partecipare alle competizioni elettorali.
Tuttavia questo vuoto di partecipazione alla vita cittadina da parte delle nuove generazioni, questa specie di silenzio o di ritirata giovanile, è un fatto molto grave per le società, poiché perdono le loro possibilità di rinnovamento naturale, invecchiano e in tal modo diminuisce progressivamente la loro creatività per trovare nuove risposte ai complessi problemi che devono affrontare. Questo solo motivo sarebbe sufficiente a giustificare una riflessione profonda rispetto a ciò che si dovrebbe fare per recuperare la credibilità delle popolazioni verso l'attività politica. Entriamo quindi nel tema, iniziando con un po' di storia.
Per i greci e in particolare per quei due pilastri del pensiero occidentale rappresentati da Platone e da Aristotele, etica e politica costituivano un'unità indissolubile. I cittadini virtuosi creavano società virtuose e le società virtuose creavano cittadini virtuosi. Per loro, la dimensione morale dei singoli esseri umani era inseparabile dalla sua dimensione politica, perché erano convinti del fatto che il fine dell'individuo si può intendere solo in seno alla comunità a cui appartiene. A partire da questa convinzione entrambi, ciascuno a modo suo, svilupparono una riflessione profonda sulle forme di governo delle società e sulle condotte dei loro governanti, in una perfetta risonanza tra il piano personale e il piano sociale, che rendeva possibile avvicinarsi al circolo virtuoso descritto.
Ma questa posizione non si limitò al puro esercizio intellettuale, poiché fu anche vissuta intensamente dai filosofi. Socrate partecipò come soldato alla guerra del Peloponneso e Aristotele lavorò come istruttore di Alessandro Magno, fatto che spiega in larga misura la condotta conciliatrice e integrante che ebbe questo governante militare con il popolo persiano sconfitto, contro l'opinione dei membri del suo esercito.
In ogni caso, ne approfitto per chiarire che non desidero assolutamente idealizzare la cultura greca e che prendo atto dei suoi limiti, per esempio il fatto che solo una percentuale minima della popolazione era considerata cittadina a pieni diritti (circa un sedicesimo); la maggioranza non poteva partecipare. Non serve, come non serve scrivere un trattato sulle condotte virtuose mentre si giustifica la schiavitù. Ma rappresenta il punto di partenza di cui disponiamo e tali contraddizioni non fanno altro che evidenziare la complessità della relazione tra etica e politica 1).
Le ripercussioni della storia non smettono mai di sorprendere e sembrano dare ragione a Nietzsche e al suo eterno ritorno. Il periodo storico successivo, chiamato ellenistico, di cui Alessandro fu uno dei principali protagonisti, fu caratterizzato da una forte internazionalizzazione della cultura ellenica con il conseguente indebolimento delle città-stato, base fondamentale della vita greca, fenomeno molto simile alla crisi attuale degli stati nazionali come conseguenza del progresso della globalizzazione. Quindi la nozione di cittadino, così intimamente greca, andò sfumando e si ruppero le relazioni di reciprocità tra l'ambito personale e quello sociale. A partire da quel momento emerse una nuova identità diretta verso l'individuo.
Da un punto di vista molto grossolano (gli storici mi perdonino), in termini politici il Medio Evo fu caratterizzato dalla lotta tra il potere divino rappresentato dalla Chiesa e il potere temporale incarnato nella monarchia. Le società erano diventate verticali e nelle battaglie politiche il popolo aveva una partecipazione quasi nulla. Il potere derivava da Dio, non dalle comunità, su questo i potenti erano d'accordo; la discussione riguardava la determinazione di chi dovesse amministrarlo.
Niccolò Machiavelli, un umanista del Rinascimento, fu il primo ad affrontare il problema dal punto di vista dell'analisi sistematica, come scienza politica. Nel suo libro Il principe è già chiara la contraddizione profonda tra l'etica personale e la ragion di stato, che può giustificare qualsiasi mezzo. Qui non si tratta più di una riflessione “astratta”, ma a partire dall'azione politica concreta. E il fiorentino non giustifica qualsiasi cosa, come si è voluto capire in seguito, ma sostiene che un governante può (e deve) rinunciare alle sue convinzioni morali personali per preservare lo stato di cui è incaricato, utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione per farlo. Si inaugurava quindi un'epoca di doppia morale e si dissociava definitivamente l'ambito pubblico da quello privato. Apparve inoltre il politico professionista e la sfera del potere si allontanava per sempre dalla gente 2)
Da quel momento (e riparandosi nel povero Machiavelli), l'accesso al potere e il suo successivo controllo hanno giustificato (e giustificano) quasi tutto: la violenza, la corruzione, la manipolazione, il tradimento e un lungo eccetera. Il platonico “governo dei migliori” (tanto elogiato da Nietzsche) è finito nel suo opposto, vale a dire nel governo dei peggiori, secondo la percezione della cittadinanza. Ma il problema più grave sembra che, molto in fondo, fatte salve poche eccezioni come i governi rappresentati dai nostri amici di Bolivia ed Ecuador qui presenti, la gente non crede che gli “uomini buoni” abbiano la capacità e la forza necessarie per amministrare lo stato con efficienza, quindi continua a votare per i peggiori. Quindi, per quanto tu possa essere affidabile, puoi non essere credibile e quindi non ti votano; ciò che si deduce da questa condotta apparentemente contraddittoria dei popoli è che, indipendentemente da ciò che dicono, credono un'altra cosa: che in politica, la stretta adesione a un codice morale assomiglia molto alla debolezza.
Come si può risolvere questa situazione apparentemente senza soluzione? L'etica e la politica sono ambiti definitivamente inconciliabili? Queste sono le domande che noi umanisti vorremmo porre nel dibattito.
La nostra azione politica si è sempre mantenuta fedele a un codice etico che parte da quel vecchio principio che dice “tratta gli altri come vorresti essere trattato” e per questo abbiamo pagato il prezzo di essere visti come ingenui o utopici che vivono in un mondo ideale e hanno una nozione molto limitata della “realtà”; il che, secondo la cittadinanza, sembra essere una limitazione più che una virtù per governare. “Sono brave persone, ma ciò che propongono è impossibile da ottenere”, pensano.
Per terminare, vorrei definire con chiarezza la mia posizione: continuerò, continueremo, come fino a oggi, a cercare di conciliare l'etica con l'azione politica, nonostante le sconfitte circostanziali che tale condotta possa implicare. “Abbiamo fallito ma insistiamo”, disse alcuni anni fa Silo in questo stesso luogo. “Insistiamo perché voliamo sulle ali di un uccello chiamato Tentativo”.
Mi sembra che l'epoca del “vale tutto” si stia chiudendo con la grande crisi a cui stiamo assistendo in questi giorni e ciò farà in modo che i popoli rivedano le loro convinzioni. Quando cadde il muro di Berlino da un giorno all'altro, inizialmente fu visto come qualcosa di “incredibile”. Quando collassò l'Unione Sovietica, la popolazione di quell'enorme paese si svegliò una mattina e il suo paese non esisteva più; ovviamente non ci potevano credere. “È impossibile”, dicevano tutti. Ora è caduto il mercato e tende a succedere la stessa cosa. Ma la storia non si ferma: i fatti umani finiscono per imporsi sulle credenze e ci obbligano a rivederle. Quindi è molto probabile che i popoli si aprano a sostenere nuove forme di leadership, come sembra stia già succedendo in America Latina, per cui il potere è considerato solo un mezzo per aiutare quegli stessi popoli ad essere felici e mai un fine in se stesso.
E sebbene sembri che non siamo ancora preparati, sono convinto del fatto che in futuro gli esseri umani sapranno trovare forme di democrazia molto più perfette che impediscano qualsiasi tipo di concentrazione del potere, quindi la lotta politica perderà gran parte degli attributi e delle ansietà che la caratterizzano oggi. Quel grande anarchico e uno dei creatori della disobbedienza civile che fu Henry David Thoreau disse: “Il miglior governo è quello che non governa affatto; e quando gli uomini si scopriranno preparati, sarà il governo che si daranno”.
Ci sono molti motivi che indicano che non ci troviamo ancora nella situazione di affrontare una sfida di tali proporzioni e forse sarebbe un gravissimo errore provarci nelle condizioni attuali. Ma quell'immagine di riferimento continua a vibrare come aspirazione sentita, come la luce del faro che scintilla nelle nostre pupille quando ci chiama dalla riva opposta del mare.
Molte grazie per l'attenzione.