Da più di sette milioni di anni la specie umana procede instancabilmente nella sua evoluzione, superando le condizioni di origine che la limitano. Le conoscenze e le capacità accumulate rispondono a imperiose necessità: liberarsi dal dolore fisico (grazie al progresso della scienza e della giustizia sociale) e superare la sofferenza mentale (grazie alla vittoria sulla violenza nella propria coscienza).
Durante questo lungo processo evolutivo l’essere umano ha superato i propri limiti, accumulando conoscenze e avanzando verso un destino collettivo in cui ogni individuo dà il suo particolare contributo. Veri geni hanno dato straordinari contributi all’umanità offrendo i loro “doni” e dispiegando la loro energia non per sé stessi ma per il bene comune –è in questo senso che sono grandi uomini-, cosa che ha permesso alla specie umana di uscire poco a poco dall’oscurità dell’ignoranza.
L’essere umano, attraverso l’eccezionale attività della propria coscienza, si allontana ogni volta di più dal determinismo, a differenza di altre specie viventi che non fanno che rispondere agli stimoli del mondo naturale.
L’essere umano non ha una natura propriamente detta, nel senso di uno stato immutabile (che gli farebbe riprodurre il suo ambiente all’infinito, come uno specchio), ma si proietta piuttosto verso il futuro potendolo scegliere e costruire, dando intenzione al mondo, inventandolo e trasformandolo mentre trasforma anche sé stesso. Quindi, l'uomo è un essere storico che trasforma la propria natura attraverso l’attività sociale 1). Inoltre la sua capacità di avere coscienza della propria coscienza –essere cosciente di sé stesso- apre l’orizzonte a una nuova etica che dà senso alla sua vita e futuro all’umanità.
Questo ci porta a dichiarare: niente può giustificare il fatto che un individuo o un gruppo di individui si impadroniscano del destino collettivo degli esseri umani a fini personali. Nessuno può monopolizzare le conoscenze di tutti per sé stesso, né rivendicare il possesso del patrimonio comune dell’umanità. Niente di ciò che viene creato da un essere umano è isolato dal lavoro degli altri esseri umani che lo hanno preceduto, che coesistono o che verranno in seguito. Ognuno porta in sé il destino degli altri!
In virtù di questo, noi umanisti non possiamo accettare che un pugno di opportunisti si impadroniscano del “tutto sociale” e cosifichino l’essere umano, imprigionandone la coscienza e disprezzando la regola morale per eccellenza che dice: “Tratta gli altri come vuoi essere trattato”.
Una manciata di irresponsabili si sta accaparrando le risorse naturali del pianeta, controllando i mezzi di produzione e fissando meccanismi commerciali che riducono le popolazioni allo stato di schiavitù sotto un’unica norma sociale: consumare. Deificano il denaro come valore massimo della società, con tutte le conseguenze drammatiche che da esso derivano. Non contenti di disporre del patrimonio oggettivo dell’umanità, si impossessano anche della soggettività umana con l’obiettivo di dare eternità ai loro privilegi; controllano l’educazione e rivendicano per sé stessi il possesso della conoscenza, parcellizzandola e limitandola per evitare scoperte che non possano controllare o che li precedano.
Qualifichiamo questa appropriazione ed estorsione del bene collettivo, tangibile e intangibile, come una violenza massima, le cui conseguenze implicano maggiori violenze. Tale generalizzazione della violenza, considerata erroneamente come naturale nell’essere umano, permette a sua volta di giustificare le forze repressive, che vigilano in questo modo sul mantenimento dei privilegi di una minoranza.
Sapendo per esperienza che non si risolverà mai la violenza con la violenza, convinti che moralmente niente la giustifica, facciamo appello alla riflessione affinché si sviluppi una metodologia generalizzata della non-violenza con l’obiettivo di fare un passo ulteriore verso un’etica che permetta all’essere umano di uscire dal giogo dell’animalità.
In permanente ricerca di risposte liberatrici, consideriamo che la diversità, opposta all’uniformità, è la garanzia di una maggiore probabilità di soluzione. La conoscenza, quindi, deve contemplare la molteplicità di punti di vista come una necessità per l’arricchimento collettivo, la convergenza tra culture e la riconciliazione, tanto sociale quanto personale. Questa tesi cerca di dare risposta a una triste attualità in cui si osserva l’inasprimento dei fondamentalismi, nel tentativo di conservare la propria identità a forza di restrizioni e intransigenze.
Paradossalmente questo assolutismo cieco spinge ogni volta più esseri umani a chiedersi sulla propria spiritualità, cercando di uscire dal dogma e di allontanarsi da riti senza senso. Lo spirito si ribella e, dopo l’infruttuosa ricerca di riferimenti nel mondo esterno, va a cercare nella profondità di sé stessi… per trovare lì una nuova spiritualità emergente.
Questo simposio non intende fare un ripasso esaustivo della conoscenza del patrimonio umano, ma piuttosto affrontare le nuove sfide etiche che si prospettano nell’attuale crocevia evolutivo, in particolare con l’accelerazione tecnologica. Desideriamo emanare una Carta, alla maniera del giuramento d’Ippocrate, e di farla arrivare fino ai circoli di studio, ai luoghi di ricerca, ai media scolastici e universitari. Questo appello dovrà risuonare nel cuore e nella coscienza non solo degli eruditi, ma di tutti coloro che “condividono” questo pianeta. Affinché si modifichi la direzione distruttiva che ha oggi il nostro complesso mondo, la riflessione sulla relazione tra conoscenza ed etica è cruciale.