Vito Correddu
II° Convegno di Stop Razzismo - Roma
19 giugno 2010
Ringrazio prima di tutto gli organizzatori per avermi dato la possibilità in questa tavola rotonda di parlare a nome del Centro Studi Umanista Salvatore Puledda. Dico fin d'ora che approfitterò di questo momento di scambio per continuare a raccogliere idee e spunti di riflessione da tutti i partecipanti.
Il mio intervento non ha lo scopo di aggiungere altre parole circa l'assurdità del razzismo, tanto più che oggi mi trovo a parlare a persone che dell'antirazzismo hanno fatto un impegno costante, infaticabile e quotidiano: tutte persone accomunate da quella sensibilità che pone come valore centrale il riconoscimento dell'umanità dell'altro di fronte alla disumanizzazione crescente. Il mio intervento, piuttosto, nasce con la speranza di dare spazio ad alcune considerazioni, che forse ci daranno un nuovo punto di vista su questo tema, per migliorare quindi la nostra azione antirazzista.
Si intende generalmente per razzismo quel particolare atteggiamento discriminatorio che parte dalla convinzione che esistano delle razze umane distinte, con caratteristiche e capacità peculiari: convinzione che arriva ad affermare la superiorità o meno di una razza sull'altra. Il razzismo perciò s'inserisce nella categoria più ampia della discriminazione e quindi della violenza, che come sappiamo si può esprimere in campo politico, religioso, sessuale, economico, nonché etnico-razziale.
Questa definizione di razzismo però non ci dice molto sulle ragioni del razzismo. È certo che a volte il razzismo è funzionale ad alcune minoranze per continuare a mantenere una porzione di potere politico o economico. Si potrebbe quindi dire che interi gruppi umani adottano un atteggiamento razzista e, più in generale, discriminatorio, per questioni di convenienza, di opportunità, per mantenere privilegi. Questo modo di vedere un po' economicista non sembra però sia esaustivo per spiegare l'assurdità del fenomeno.
Il razzismo, così come lo abbiamo conosciuto in occidente e che ha visto nei regimi nazi-fascisti la sua massima espressione, non si limitava alla sottomissione dell'altro, ma si è spinto a ipotizzare e pianificare lo sterminio di milioni di esseri umani. Per spingersi fino a quel punto, non basta affermare che esiste una razza superiore, bisogna dire che l'altra razza è un pericolo, una minaccia alla propria integrità di “razza pura”. Hitler descriveva gli ebrei in questo modo: “Gli ebrei sono come i vermi che si annidano nei cadaveri in dissoluzione.” E ancora “L'ebreo è colui che avvelena tutto il mondo. Se l'ebreo dovesse vincere, allora sarà la fine di tutta l'umanità, allora questo pianeta sarà presto privo di vita, come lo era milioni di anni fa.” L'odio di Hitler per il mondo ebraico non era uno strumento politico per incanalare la rabbia del popolo su un capro espiatorio, bensì esso era profondamente reale quanto irrazionale. La sua era una missione che aveva come compito la difesa della purezza della razza ariana, unica, nella sua folle concezione, capace di compiere il destino di grandezza e superiorità, così come lo concepivano alcuni teosofi e ariosofi di moda in quell'epoca.
Ma da dove e come sorge quest’idea di purezza?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo andare molto addietro nella storia. Dobbiamo arrivare a circa 3500 anni fa e collocarci nella civiltà persiana. In quell'epoca nasce lo Zoroastrismo, anche detto Mazdeismo. Nasce la prima religione monoteista, con una forte impronta manicheista. È con lo Zoroastrismo che nascono concetti come il paradiso e l'inferno, la resurrezione dei morti e il giudizio finale. Per lo Zoroastrismo esiste una lotta continua tra il bene e il male: quando questa lotta sarà terminata, il male verrà definitivamente sconfitto, il cosmo sarà purificato in un bagno di metallo fuso e le anime dei peccatori saranno riscattate dall'inferno, per vivere in eterno entro corpi incorruttibili alla presenza di Ahura Mazda. Una particolarità dello Zoroastrismo è il trattamento riservato al defunto. Il corpo non viene seppellito perché considerato impuro, contaminante: esso viene perciò esposto al sole e spolpato dagli avvoltoi. Con lo Zoroastrismo s'introduce quindi, per la prima volta, il concetto di contaminazione e il suo opposto, di purezza. La forza dello Zoroastrismo porterà ad influenzare popoli e religioni ad esso limitrofe. Ad est, nell'Induismo, ritroviamo i concetti di contaminazione e purezza in tutte le norme che regolano le divisioni tra caste. Le ritroviamo nel Giainismo, che arriva a formulare una primitiva idea di batterio, al punto che gli adepti si coprono il viso con una retina per non respirarli e addirittura sono tra i primi gruppi umani che cominciano a filtrare l'acqua per renderla potabile. Queste ultime sembrerebbero valide norme igieniche, ma le idee di fondo sono sempre la contaminazione e il suo opposto, la purezza. Ad ovest lo Zoroastrismo compie un'ampia opera di diffusione soprattutto nel mondo ebraico, nel quale ritroviamo nelle 613 mitzwòt, i precetti della Torah, un'espressione quasi ossessiva di questi concetti. Come sappiamo il Cristianesimo eredita moltissimo dal mondo ebraico, ma l'Europa comincia a conoscere la visione zoroastriana già con la diffusione del mitraismo nell'impero romano, religione che deriva dal Dio persiano Mitra del pantheon zoroastriano. Anche l'Islam ovviamente subisce l'influenza dello Zoroastrismo: ne vediamo i risultati nella grande eresia Sciita, oggi particolarmente presente proprio in quelle zone dell'Asia Minore che videro i natali dello Zoroastrismo. Nel XX secolo ricordiamo “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche e di come Hitler ne fosse un grande appassionato.
In altre parole, quello che vorrei affermare è che il razzismo, quell'atteggiamento discriminatorio definito all'inizio, è la strenua difesa di un insogno di trascendenza. Il razzista vede nell'altro, nell'altra “razza”, nella diversità, una minaccia all'integrità del suo “io”. La sola vicinanza, la sola esistenza del diverso da sé e, in ultimo, la stessa vicinanza ed esistenza del proprio corpo sono per il razzista fonte di contaminazione. Il razzista trema all'idea di non riconoscersi, di perdere la propria identità, non solo perché questo gli comporta alcuni problemi di ordine pratico, ma soprattutto perché ha paura che quell'insogno di trascendenza non si realizzi più. È una tensione forte perché crede profondamente nell’illusione dell'Io. Con il razzismo è l'idea di permanenza che si vuole affermare. C'è un tentativo tanto irrazionale quanto violento di bloccare il divenire, il movimento. Attraverso una concezione di natura idealizzata, statica, astratta, incontaminata, si pretende di arrestare, paradossalmente, ciò che più caratterizza la natura, cioè il cambiamento. In un’epoca di mondializzazione come questa, in cui l'accelerazione tecnologica mette in discussione valori, credenze e aspirazioni, le mura a difesa dell'Io non riescono a respingere gli “attacchi contaminatori” di culture, gruppi umani, idee. La resistenza, quindi, si fa sempre più dura e più violenta.
Vediamo ora come l’idea della contaminazione sia oggi presente in molteplici aspetti, anche i più insospettabili. Prendiamo per esempio il mondo della scienza. È di poche settimane fa la notizia che Stephen Hawkins, uno dei massimi astrofisici, afferma, a proposito dell'esistenza di forme di vita extraterrestre, le seguenti parole: “Una qualche forma di vita potrebbe essere intelligente e rappresentare una minaccia.“ Hawking ritiene che il contatto con una tale specie di vita extraterrestre potrebbe essere devastante per l’umanità. Aggiunge inoltre: “Immagino che possano vivere in astronavi enormi, avendo esaurito tutte le risorse del loro pianeta natale. Tali alieni avanzati potrebbero essere diventati forse nomadi, cercando di conquistare e colonizzare qualunque pianeta possano raggiungere.“ Hawking conclude che “cercare di entrare in contatto con razze aliene è un po' troppo rischioso. Se mai gli alieni ci visitassero, penso che il risultato sarebbe molto simile a quando Cristoforo Colombo sbarcò in America… e le cose non andarono bene per i nativi americani.” Qui non si tratta di una persona ignorante, che è vissuta in una situazione di degrado umano. Qui parliamo di un professore universitario che ricopre la cattedra che fu di Isaac Newton. Parliamo di un astrofisico che ha contribuito in modo particolare alla conoscenza dei buchi neri. Eppure una persona come Stephen Hawking, quando deve parlare del massimamente diverso quale può essere una forma di vita extraterrestre, ne parla con la paura della contaminazione.
In campo ambientalista, nella Germania degli anni novanta, ci furono dei gruppi che un articolo de La Repubblica definì ecorazzisti. La tesi di questi gruppi sosteneva che la minoranza turca non era geneticamente abituata al freddo germanico e per questo motivo utilizzava maggiori quantità di gasolio per il riscaldamento. In altre parole bisognava espellere i turchi dalla Germania perché inquinavano, contaminavano l'ambiente. In certe correnti ambientaliste inoltre l'essere umano è interpretato come un virus dalle enormi capacità distruttrici.
Altro esempio della paura della contaminazione si coglie in alcune posizioni antropologiche definite come razzismo differenzialista o fondamentalismo culturale. Esse ipotizzano, pur affermando pari dignità ad ogni cultura, che se la vita di ognuno di noi, i nostri valori, le nostre convinzioni morali sono radicati in una ben precisa identità culturale, allora le culture e le identità non devono essere confuse e mescolate. Occorre preservarne l'integrità e l'autenticità di fronte alla confusione, al mescolamento e anche di fronte al rischio dell’omologazione che investe il mondo contemporaneo. Questo punto affonda le radici in alcune formulazioni antropologiche anche di grande prestigio, come quelle di Lévi-Strauss, che ha sostenuto la necessità di un certo grado di “sordità” reciproca fra le culture. Per il grande etnologo francese la diversità culturale è il bene massimo da preservare per l'umanità, poiché il progresso stesso è consentito non dalla prevalenza di una cultura su tutte le altre, ma dalla compresenza di molte culture diverse. Ciò significa che occorre certo favorire il dialogo e lo scambio, ma anche difendere le rispettive identità e confini, evitare contaminazioni troppo profonde che facciano perdere il senso della diversità. Queste posizioni di Lévi-Strauss saranno poi riprese da Alain de Benoist, scrittore ed intellettuale della destra francese, che afferma: “Tutti i popoli devono preservare e coltivare le proprie differenze.” e “L'immigrazione è condannabile perché mette in pericolo l'identità della cultura di accoglienza, così come l'identità degli immigrati.”
Questi sono solo alcuni esempi di come l’idea della contaminazione sia radicata e di come questa si annidi anche in contesti ed individui apparentemente esenti. Questo accade perché non parliamo di un'ideologia, di una correntucola alla moda, di un fenomeno culturale. Parliamo di un insogno fondamentale nell'essere umano. Forse, se andassimo in profondità, scopriremmo che anche noi qui presenti, in una certa forma, in una certa misura ne siamo paradossalmente subdoli sostenitori.
Come possiamo superare il razzismo?
Pierre-André Taguieff, sociologo e filosofo francese, in un saggio sulla questione antirazzista scriveva: “È un paradosso ormai comune dell'antirazzismo il fatto che i suoi sostenitori rovescino sull'avversario ‘razzista’ i modi di rappresentazione e di stigmatizzazione che gli attribuiscono. Si pensi ad espressioni come ‘Sporco razzista!’ o, come in Francia si è talvolta detto, ‘Gasiamo i lepenisti!’. Gli spiriti antirazzisti sono impregnati di razzismo. In alcune sue declinazioni più ideologiche, il neorazzismo finisce per costruire un nemico assoluto e astratto: il ‘razzista’, figura negativa centrale di un grande mito repulsivo, seguace del Male assoluto, in un modello dicotomico che interpreta le vicende del mondo come scontro tra un Male assoluto e un Bene assoluto. Si tratta di un rischio estremamente reale per un certo antirazzismo militante e dogmatico, troppo preoccupato di dividere il mondo in buoni e cattivi.” Taguieff ci indica esattamente quello che non riesce a superare il razzismo, anzi evidenzia come alcuni comportamenti di sedicenti antirazzisti riproducano lo stesso schema che si tenta di combattere.
Prima di rispondere alla domanda dovremmo però chiederci se questa sia la giusta domanda. Da quanto esposto finora dovremmo forse porci la questione in questi termini: come si scioglie la tensione legata alla paura della contaminazione? Una possibilità sta nell'affermare una nuova direzione mentale che trasformi quell'insogno di trascendenza, così meritocratico, dicotomico e definitivo, in un insogno che produca speranza, apertura, futuro, comunicazione, intelligenza, profondità. Il razzismo non sarà superato schiacciandolo in un angolo, negandolo o tentando di annientarlo. Il razzismo sarà superato quando lo si comprenderà fino in fondo, nella sua ultima radice. Quando lo si considererà per quello che è: un tremendo ed esistenziale errore di calcolo.