Simone Casu
II Simposio Internazionale del Centro Mondiale di Studi Umanisti “Fondamenti della Nuova Civiltà” - Parchi di Studio e Riflessione – Attigliano
29 ottobre 2010
Che cosa centrano l’Etica con l’Estetica?
Facciamo un passo indietro e catapultiamoci nel passato, immaginiamo di poter pensare come un colto abitante di Atene, 2500 anni fa. Scopriamo che etica ed estetica, che per noi sono separate, per i greci di allora erano unite e indissolubili. La parola kalón, che noi traduciamo con “bello”, aveva in realtà un significato più ampio rispetto a quello attuale: comprendeva non solo ciò che risultava gradito all’occhio e all’orecchio, ma anche qualità del carattere e della mente umana, qualità morali ed etiche. Gli antichi mantenevano separata la sfera del “bello” dall’arte, perché assegnavano alla bellezza un fondamento ontologico, che poteva ritrovarsi in tutte le cose dell’universo, dalle manifestazioni della natura a quelle sociali. Nell’arte consideravano il corpo dell’uomo e della donna il più nobile e alto fra gli enti naturali. Proprio per questo primato, l’uomo poteva esprimere la sua bellezza, oltre che nella proporzione delle forme fisiche, anche nella dignità dei comportamenti pratici: da qui deriva il forte legame fra bello e buono, che nella Grecia classica trovava la sua espressione suprema nell’ideale formativo della kalokagathía, la condizione propria di chi sa essere e costituirsi bello e buono allo stesso tempo. Kalogathòs, unisce i termini kalós, bello, che rappresenta la bellezza fisica, con l’inevitabile aura erotica e sensuale che l’accompagna, e buono, agathós, che rappresenta l’aspetto morale, nelle sfumature del vivere sociale e mondano.
Il “bello” era, quindi, un concetto dal significato molto complesso e ricco, che si può riassumere in tre caratteristiche fondamentali: 1. l’armonia, rilevabile nell’equilibrio cosmico; 2. la simmetria, ovvero la ripetizione di elementi uguali o simili; 3. l’euritmia, cioè il ritmo e le corrette proporzioni. Tutto ciò è ben espresso nel concetto di kósmos, che si riferisce alla bellezza di un oggetto rilevabile nella perfezione della sua struttura, in ragione della proporzione delle sue parti. Nel campo delle arti verbali, come riferisce lo stesso Omero, il concetto di kósmos si collega all’armonia e alla coerenza. Questi greci, che pensatori! Forse le loro non erano solo idee sulla bellezza, ma qualcosa di più complesso e profondo, verso cui forse stiamo ritornando.
Un altro fondamento dell’estetica del passato è dato dalla visione di San Tommaso, il quale afferma: “Ad pulchritudinem trìa requiruntum integritas, consonantia, claritas.” Ovvero: tre sono le condizioni del bello: l'integrità, l'armonia e lo splendore. Anche in questo caso c’è da rimanere sbigottiti di fronte alla maestosità di tali visioni. Integrità, caratteristica del bello, è infatti un termine che solitamente si riferisce all’etica, si dice che una persona è integra moralmente. La radianza, splendore o claritas, invece, si associa a qualcosa in movimento che vive, in cui vi è un elemento temporale. Il tempo che la luce impiega a giungere dalla sorgente alla periferia. Una luce, forse, costruttiva e creativa, attraverso la quale si costituiscono le cose. La bellezza è, quindi un moto, un agire, come l’intenzionalità umana, non è un modello statico, è un atto di volontà che San Tommaso attribuisce a Dio. Dio, con un atto d’amore qual è la creazione, secondo San Tommaso, ha reso le creature “belle” e il caos, trasformato in cosmo, è un riflesso della sua bellezza; così tutte le sue creature, fra cui eccelle l’essere umano, partecipano della sua bellezza, la quale suscita nell’uomo il desiderio di amarlo e di raggiungerlo. Ecco quindi come la bellezza e l’etica siano una tendenza, un andare verso un oggetto, proprio della coscienza umana, la quale lancia continuamente “atti” mentali, non separabili dagli “oggetti”, a cui essi si rivolgono. Quindi la bellezza non era solo un oggetto, ma un atto, una tendenza verso un’astrazione di totalità perfetta e idealizzata. Per San Tommaso, l'opera d'arte in sé non è morale né immorale, lo diventa solo se aiuta l'uomo nel suo perfezionamento o se lo distoglie. In questo senso vi saranno un bello “formale”, che si ferma alla sola bellezza superficiale, e un bello “integrale”, che partecipa nel contempo della bellezza e del bene.
Interessante visione che oggi potremo dire olistica o integrata, che vuole elevare a categoria estetica tutte le cose giuste e viceversa. In effetti questa concezione etica della bellezza è ben radicata nella nostra cultura: si dice che una persona volgare, violenta o arrogante sia un “bruto”; di un gesto compassionevole e virtuoso si dice che è “bello”.
Ma veniamo ai nostri giorni, a ciò che è successo nell’era moderna. Nella corrente romantica, a inizio ‘800, il sublime, l’estatico, il trascendente divengono nuovi modelli di vissuti a cui riferirsi per la ricerca del bello. Il bello è frutto di un sentimento, di una sensibilità, piuttosto che di un’idea o di un modello matematico-geometrico, come era stato nell’antichità e nel Medioevo, basti ad esempio ricordare l’uso della proporzione aurea nella composizione artistica. L’armonia per i romantici si estende al rapporto con la natura ed il proprio sentimento è misura di tutte le cose, cosicché il bello si avvicina ad un registro, più che ad un’organizzazione di elementi. Il sentimento esistenziale dell’estetica romantica ha influito su tutta l’arte successiva ed ha messo in rilievo la componente individuale e soggettiva del bello. Per questa via è andato poi crescendo, fino a chiudersi in se stesso, dando vita al mito dell’artista incompreso e sofferente. Il sentimento così svincolato da un modello estetico collettivo che fungesse da riferimento, condizione propria delle precedenti epoche, si rende più fragile e mutevole. Quindi anche l’orrido, il volgare, il brutto, il folle, il tragico ed il vuoto potevano caricarsi di valori estetici, perché “emozionanti”. Questo sentimentalismo individuale poteva essere talmente puntuale fino a divenire solipsistico, fondamentalmente chiuso al mondo o ad esso addirittura contrapposto. L’estrema punta di questo fenomeno si raggiunge nell’affermare e credere che l’opera d’arte sia tale in quanto frutto dell’agire artistico individuale, tanto che anche una latrina può essere definita arte in quanto “battezzata” dall’artista.
Se si usano i termini amore e libertà per giustificare una guerra, certamente questi due concetti, portatori di cariche energetiche specifiche e potenti, si disintegreranno confondendo i registri ad essi riferiti. Come può una parola designare fenomeni così opposti? Come può un “water” essere bello? In questo modo si è violentata l’arte, che era stata da sempre punto di riferimento per l’estetica. L’estetica, di conseguenza, è divenuta pura superficie svuotata della sua forza morale e della sua compattezza strutturale, che voleva essere “bello” tutto ciò che era buono e giusto. Anche se la corruzione del bello era già in atto in quella ripetizione stantia di modelli che oggi chiamiamo arte commerciale, è attraverso il ribaltamento concettuale che avviene il passaggio più compromettente.
Per compensare la disintegrazione del bello integrale si cerca, quindi, di equilibrare il vuoto creatosi attraverso il bello formale, con la mercificazione e la giustificazione scientifica. Il bello reso merce è meccanizzato e lo si ottiene grazie alla produzione in grande scala di oggetti industriali tutti uguali, legati al consumismo e alla moda, in cui si standardizzano dei modelli estetici di massa somministrati attraverso la manipolazione psicologica e l’uso dei mass-media. Dall’altra parte vi è un bello scientificamente provato, dato che le scienze moderne (psicologia, neurologia e fisiologia) ricercano la radice psico-fisiologica del bello, confondendo le concomitanze e i fenomeni fisiologici piacevoli come il motivo essenziale del bello. Il bello sensualista si va meccanizzando come conseguenza reattiva a uno stimolo, rendendo passivo lo spettatore, che altro non è che un ricettore di stimoli e non la parte attiva creativa nella costruzione del bello. Il bello non è più al centro dell’arte, della filosofia, della politica, dell’economia. Il brutto, espressione della violenza, impone la sua “estetica”: estetica dell’arroganza, del kitsch, del potere.
La centralità del profitto si è inghiottita l’etica ed ecco che il brutto fa il suo trionfo tanto da sostituirsi al bello, ma a differenza di questo ne diventa solamente una caricatura priva di senso. Come fare a riportare il bello ed il buono al centro della nostra vita? Per noi dell’Istituto ESTETRA, affinché si potesse operare un cambiamento profondo rispetto al passato, è stato necessario capire cosa fosse successo e perché si fosse arrivati al trionfo dell’estetica nichilista. Come prima domanda ci siamo chiesti: per quale ragione nella storia l’etica e l’estetica si sono trovate fianco a fianco fino a risultare indistinguibili? Abbiamo scoperto che esse si ritrovavano a occupare uno stesso spazio nell’interiorità degli esseri umani; nelle categorie di bello e brutto risultano tutta una serie di registri comuni alle categorie morali ed etiche di buono e di giusto. Ricordate le caratteristiche greche e medioevali? Con un sondaggio abbiamo provato ad ampliarle attraverso un gioco di libere associazioni (per contrasto e similitudine), ed è risultata questa tabella.
Bello Brutto Armonico Disarmonico Proporzionato Sproporzionato Euritmico Dissonante Coerente Incoerente Luminoso Cupo Piacevole Spiacevole Buono Cattivo Saporito Amaro sgradevole Piacere Dolore Nonviolenza Violenza Amore Odio Altruismo Egoismo Esatto Sbagliato Sacro Non sacro Musica Rumore Ordinato Disordinato Ricco Povero Rilassante Tendente Funzionante Rotto Utile Inutile Pulizia Sporcizia Nitidezza Confusione
Risulta evidente che etica ed estetica non sono solo concetti, ma vissuti che stanno nella stessa regione di registro, ed è per questo che correntemente usiamo i termini bello e brutto per una grandissima varietà di fenomeni. In seconda analisi abbiamo cercato di capire che cosa differenziasse l’etica dall’estetica ed abbiamo compreso che, pur corrispondendo ad uno stesso “spazio di registro”, ci si arriva però per canali diversi. Cosa succede di differente con il “canale” estetico, rispetto a quello etico? Il canale o via etica è principalmente analitico, poco immediato ed intuitivo, mentre il canale estetico è veloce, intuitivo e sensibile. Voglio riportarvi un esempio. Si dice che Einstein soleva individuare i calcoli dei suoi allievi come esatti o inesatti leggendoli, senza comprovarli, diceva che erano brutti e perciò inesatti. Il geniale matematico indiano Ramanujan Srinivasa Aaiyangar si dice avesse elaborato diverse centinaia di formule matematiche corrette, ma ne pubblicò solo una piccola parte, quelle che per lui rappresentavano il pensiero di Dio. Quando gli chiesero come facesse a individuare quelle che erano frutto del pensiero di Dio, rispondeva che esso si esprimeva attraverso la bellezza. Anche nella fisica esiste oggi un concetto di Universo Elegante e si sta comprendendo che il fattore estetico va ben oltre il solo sensuale percepire superficiale. Abbiamo poi esaminato altre caratteristiche del bello integrale e la più sorprendente, contrariamente a ciò che oggi molti pensano, è che è impossibile ottenerlo attraverso processi meccanici. Il bello è un mistero, unico e irripetibile, il bello è essenzialmente libero, non diversamente da noi esseri umani che ne cogliamo e ne costituiamo l’intima natura. Siamo giunti a questa conclusione perché abbiamo sperimentato che è impossibile scomporre il bello nei suoi elementi costitutivi, come si fa ad esempio con un’automobile. Non si può dire che per fare un’opera d’arte basti un quadrato, un cerchio, un poco di colore, o le sette note musicali e qualche accordo…
Da sempre il potere ha cercato di appropriarsi dei contenuti propri del canale estetico profondo. Nel caso di una pubblicità che reclamizza una nota marca di pasta diremo, senza cadere nell’inganno, che il prodotto pubblicizzato è solo grano ed acqua e non qualcosa di profondamente estetico: si tratta di un maccherone frutto solo di abilità tecnica che si pretende di innalzare ad arte. Ne consegue che la visione estetica è una visione integrale e, forse non a caso, San Tommaso la connota di questa caratteristica. Va detto che estetico ha la stessa radice di estatico. Estetico significa etimologicamente “capace di sentire”, mentre estatico vuol dire “uscire fuori di sé” come capacità di identificarsi ed entrare in comunicazione col divino. Come potete immediatamente cogliere, i due momenti sono inscindibilmente in struttura, ovvero l’estasi è una conseguenza dell’estetica, del sentire oltre se stessi. In sintesi, il bello integrale non è riproducibile meccanicamente e mette in connessione con il Profondo ed il Sacro.
Ciò che invece è riproducibile è certamente il bello formale. Lo si può scomporre nelle sue parti e ricostruire praticamente a piacimento. Il bello integrale non è dato dalla somma degli elementi, ma è una nuova struttura dinamica e viva. È unico ed irripetibile, proprio come tutto ciò che non è meccanico. Infatti, se oggi dipingessi cercando di imitare Monet, questa espressione non verrebbe dal Profondo, ma sarebbe una copia. Lo sguardo si orienta verso fuori e basta. È come quando cerchiamo di essere qualcun altro: per quanto si cerchi di imitarlo, saremo solo una maschera, espressione di una sorta di suicidio psicologico.
Chi vuole che le persone non sentano e non creino, ma eseguano degli schemi imitando dei modelli esterni, dovrà fare di tutto per controllare questo canale estetico profondo ed integrale. Non ci deve sorprendere se chi manipola il “gusto estetico” manipoli le coscienze in maniera molto più profonda di quanto si creda. È per questo che ogni potere ha sempre messo da subito le mani sull’estetica, cercando di sfruttare l’onda estetica che si è data in diverse zone ed epoche. Il concetto è semplice: qualsiasi cosa o contenuto immorale si purifica, se lo si rende bello. Ci fidiamo del bello come della mamma e, quindi, non potrà farci del male. Se si rende piacevole la forma, la gente sarà aperta e sensibile ad assumere certi contenuti. Semplice ed efficace come mettere lo zucchero nello sciroppo o il deodorante nei bagni: si dissimula e si ricopre qualcosa che ci vogliono far inghiottire. Questi sono i vecchi modelli in cui attraverso il canale estetico si cerca di manipolare profondamente le coscienze.
Cosa può condurci verso una Nuova Estetica? Qui entra in gioco ciò che hanno cercato di tenere alla larga, estromettendola dall’estetica. L’unica cosa che può venire in soccorso del bello formale, rendendolo integrale, è l’ETICA. L’estetica integrale o come la definiamo noi dell’Istituto ESTETRA “estetica della Trascendenza”, non è separabile dalla componente etica ed è manifestazione di un’altissima sensibilità ed attrazione verso la coerenza interna e sociale. Immaginate di avere sviluppato questa nuova capacità estetica. Arriva qualcuno che vuole manipolarci (ad esempio qualcuno dei nostri politici) e non c’è nemmeno bisogno di stare ad ascoltarlo: lo guardiamo e vediamo che è brutto, punto e basta. Così facendo abbiamo un modo di guardare, sentire e stare nel mondo profondamente estetico. Così già fanno le nuove generazioni: ci guardano e capiscono se li vogliamo imbrogliare perché riconoscono la coerenza e la nonviolenza, non attraverso una strutturazione ideologica, propria dell’etica, ma estetica.
Ma cosa fare per sviluppare questa sensibilità etico-estetica? Daremo poche e semplici indicazioni: 1.Attraverso la meditazione profonda su se stessi ed il mondo. 2.Attraverso il contatto col sacro che è in noi e nel mondo. 3.Attraverso l’azione nonviolenta nel trattare noi stessi da buoni amici e relazionarsi con gli altri come fratelli. Pensiero sentimento ed azione, quando procedono coerenti e si muovono con armonia ed euritmia, creano in questo modo proporzione e generano luminosità. Non lo si può ottenere meccanicamente, ma tendendo a quello stato di coscienza particolare da dove nasce ogni estetica integrale, quello speciale stato di ispirazione fondamentale nell’arte. Silo parla della Coscienza Ispirata come di uno stato particolare in cui possiamo comprendere più a fondo il senso dell’esistenza. È dal quel punto nel profondo di ognuno di noi che nascerà la Nuova Estetica. Vorrei, infine, chiudere con una semplice frase del grande e sensibile poeta e drammaturgo Bertolt Brecht che unisce in sé l’etica e l’estetica.
“Che tutte le arti concorrano all'arte più grande: quella di vivere.”