La coscienza ispirata
Roberta Consilvio
Intervento di apertura del Forum “Esperienza spirituale nell’espressione artistica: coscienza ispirata e atto creativo”
29 ottobre 2011
Il cuore del nostro interesse è la coscienza ispirata, ovvero i momenti in cui ci sentiamo ispirati, o meglio in cui l’ispirazione ci prende e ci fa percepire significati, immagini, sentimenti che normalmente non percepiamo. Per arrivare a parlare di ispirazione dovremo prima introdurre alcuni concetti che ci serviranno da trampolino: la coscienza, i livelli di lavoro della coscienza e il concetto di io. Lo faremo semplificando i concetti cercando di non stravolgerne l’essenza.
Cosa intendiamo per coscienza Innanzitutto è doveroso chiarire cosa intendiamo con il termine coscienza, poiché è una parola che è usata in vari contesti disciplinari e con significati spesso molto diversi. Con il termine coscienza non intendiamo quella qualità morale dell’essere umano che gli consente di valutare il bene e il male di se stesso o di una situazione. Neppure usiamo la parola coscienza per individuare zone della mente che si oppongono, o quantomeno completano, ad altre parti supposte inconsce.
Con il termine coscienza ci riferiamo a quanto esposto da Silo nel libro “Appunti di Psicologia”1.
In questo testo Silo definisce la coscienza come il sistema di coordinazione e di registro con cui lo psichismo umano gestisce la relazione tra struttura psicofisica e mondo. Lo psichismo è qui inteso come il processo generale che assicura il buon funzionamento dell’essere umano alle prese con le richieste del mondo esterno e con i propri bisogni interni, siano essi di tipo materiale o psicologico. La coscienza coordina e struttura attivamente i dati sensoriali e di memoria a sua disposizione (operazioni che noi sinteticamente esperiamo come “registri” ovvero “vissuti”) per poter fornire le risposte adeguate alle numerose necessità dello psichismo.
Affinché questa esposizione non diventi un trattato di psicologia, chiariremo il concetto di coscienza usando un’immagine. Possiamo paragonare lo psichismo umano ad un palazzo. I materiali con i quali è costruito il palazzo rappresentano il sostrato biologico del nostro psichismo. Questo sostrato ha delle necessità di manutenzione e di rifornimento, cui sono dedicati numerosi gruppi di manutentori.
All’interno del palazzo sono all’opera vari gruppi di lavoro. Ci sono quelli che registrano i dati provenienti dall’esterno del palazzo, dati che entrano attraverso porte e finestre di diverso tipo (i sensi esterni) oppure dati su ciò che succede all’interno (i sensi interni). Potrebbero essere i portinai che sono velocissimi a sapere cosa sta succedendo in un luogo e poi a informare immediatamente tutti. Ci sono quelli che escono dal palazzo per adempiere a dei compiti più o meno precisi, questi rappresentano le risposte che lo psichismo dà al mondo esterno, espletate attraverso il comportamento. Nel palazzo potrebbero essere i fattorini. Esiste un gruppo che coordina i dati dei sensi e quelli del comportamento e li struttura, producendo rappresentazioni che attivano o inibiscono ulteriormente le possibili risposte. Questo gruppo rappresenta la coscienza nel suo svolgimento di compiti di coordinazione e di strutturazione, ovvero di assemblaggio di vari dati al fine di produrre significati. Questi sono gli impiegati che inseriscono dati al computer per produrre elaborati o direttive. Ci sono, infine, quelli che registrano e memorizzano ogni tipo di dato e che hanno come fine la creazione di un archivio, la memoria, in continuo aggiornamento e trasformazione. Ecco gli archivisti. Da questa similitudine possiamo ben vedere che è l’espletamento continuo di diversi compiti specializzati a permettere quel complesso funzionamento che noi riassumiamo con la parola psichismo.
I livelli di coscienza Nel suo funzionamento lo psichismo può lavorare in modi diversi, seguendo dei propri cicli energetici e secondo l’interesse che la persona ha in un dato momento. Questo perché la coscienza può trovarsi nel livello di veglia, di dormiveglia, di sonno con immagini o di sonno vegetativo e nel passaggio tra un livello e l’altro. Ma cosa sono i livelli? Sono gradi di mobilità interna della coscienza nel rispondere agli stimoli e sono definiti da operazioni diverse, oltre che da un tono energetico proprio. Quando il lavoro di un livello permette di risparmiare energia, questa rimane libera perché la coscienza possa funzionare ad un altro livello.
Continueremo ad utilizzare la similitudine del palazzo per chiarire questo nuovo concetto dei livelli di lavoro della coscienza. Nel palazzo tutti lavorano, ma non sempre allo stesso modo. Quando dormiamo e sogniamo è il piano terra che funziona con la massima energia. Quando dormiamo e non stiamo sognando, ovvero ci troviamo nella fase di sonno vegetativo, è nel piano dell’interrato che si stanno svolgendo i lavori principali, lavori di ricostituzione energetica e cellulare a beneficio di tutto il corpo. Quando siamo completamente svegli, e siamo in grado quindi di dirigere al massimo grado le nostre operazioni mentali, è l’ultimo piano che sta lavorando con maggiore energia. Il piano di mezzo, che rappresenta il livello di dormiveglia, è il più attivo nei momenti di passaggio tra il sonno e la veglia e in tutti quei momenti in cui, anche se svegli, perdiamo di lucidità e di capacità attenzionale, per esempio quando sogniamo ad occhi aperti, quando siamo presi da immagini che hanno il gusto di essere dei sogni (insogni), quasi delle allucinazioni divagatorie, ma in realtà non stiamo dormendo.
Questi livelli di coscienza lavorano tutti insieme contemporaneamente, anche se con una carica energetica differenziata a seconda dei momenti del giorno e della notte in cui lo psichismo si trova, con ritmi e cicli soggettivi e variabili. Per cui possiamo individuare chiaramente alcuni momenti in cui un livello lavora in modo predominante, mentre un altro livello non dà segni della sua attività. Continuamente il livello vegetativo è al lavoro per la ricostituzione cellulare, ma sicuramente è di notte che si esprime compiutamente; l’attività associativa del livello dei sogni agisce anche durante la veglia, così come l’attività divagatoria del dormiveglia, più attiva nei momenti in cui ci si sveglia o si va a dormire o si è molto stanchi; per finire con la veglia attiva e attenta, che ha la sua massima carica energetica in alcuni momenti del giorno.
L’io E ora parliamo dell’io. Come possiamo raffigurare l’io all’interno dello psichismo? L’io non corrisponde alla coscienza, ma è l’osservatore dei processi psichici messi in atto dalla coscienza: esso non ha una parte attiva nelle operazioni della coscienza, ma si costituisce come centro dell’attenzione che osserva la coscienza nel suo funzionare. È grazie all’accumulo delle memorizzazioni di questi registri “attenzionali” che l’io si configura come punto di vista stabile, che illusoriamente sembra avere caratteristiche di unitarietà e di permanenza.
Possiamo immaginare l’io come un sistema di telecamere a circuito chiuso, che riprendono tutto ciò che succede all’interno del palazzo. A forza di riprendere abbiamo l’illusione che il video prodotto dalle telecamere sia la realtà delle operazioni di coscienza, non solo, abbiamo l’illusione che l’io SIA, che esista veramente, che sia permanente e unitario, mentre esso è solamente un epifenomeno del funzionamento dello psichismo, una specie di sottoprodotto!
Esperienze non abituali Con questi pochi concetti, semplificati al massimo, siamo in grado di passare all’argomento dell’ispirazione. Prima di tutto descriviamo, in breve, il fenomeno di cui stiamo parlando. Sono cose che sicuramente ci sono successe nella nostra vita, ma cui forse non abbiamo dato importanza e che forse nemmeno ricordiamo più. Esperienze che abbiamo avuto la fortuna di vedere irrompere in noi come un regalo inaspettato. La commozione che si insinua nel cuore alla vista di uno spettacolo naturale, di un bellissimo tramonto. Il sentimento di comunione perfetta con il Tutto, con gli altri e con l’intero Universo, che ci ha estasiato in alcuni istanti di espansione della percezione. Attimi di comprensione improvvisa e totale sul senso della nostra vita su questo pianeta. L’allegria di una visione luminosa e potente di un futuro aperto per noi e per gli altri che ci ha riempito di un’energia senza fine. Il presentimento, l’intuizione di qualcosa che poi è davvero avvenuto. Vedere la realtà in un modo nuovo e sentire irresistibile l’impulso a comunicare tutto questo con parole, immagini, suoni e ogni altro tipo di espressione, artistica…..
Sicuramente ci siamo innamorati almeno una volta, e abbiamo potuto sperimentare qualcosa di simile, grazie al nostro amato, alla nostra amata. O almeno così abbiamo creduto, che fosse l’altro a consentire una tale ricchezza di significati e di emozioni, che hanno per un po’ di tempo trasfigurato la nostra vita, il senso di noi stessi e del mondo. Non era la nostra quotidianità, le percezioni e le modalità di interazione che abitualmente mettiamo in atto nel mondo. Era qualcosa che aveva il gusto di essere oltre l’ordinario, di appartenere ad una modalità di coscienza speciale.
Tutto questo possiamo genericamente collocarlo nel campo delle esperienze non ordinarie e, più precisamente, delle esperienze ispirate. Vuol dire che, almeno una volta nella nostra vita, siamo usciti fuori dal palazzo e, dalla terrazza, abbiamo contemplato visioni che non immaginavamo. Sono esperienze che perturbano il funzionamento abituale della psichismo, alterando la dinamica dei livelli di coscienza. A volte le abbiamo anche desiderate e cercate. Artisti e mistici di ogni epoca e luogo hanno sperimentato delle vie per andare lì dove l’ispirazione abita.
E da dove viene l’ispirazione?
La coscienza ispirata: ricerca del contatto e accesso agli spazi profondi della coscienza Nelle esperienze ispirate il lavoro dei diversi livelli di coscienza è alterato, così che in veglia, ma anche nel dormiveglia e nel sonno con immagini, possono verificarsi fenomeni psichici straordinari che non riconosciamo appartenere al normale funzionamento dei livelli.
Roberto Assagioli (1888-1974), fondatore della Psicosintesi, ritiene l’ispirazione appartenente al campo del supercosciente, ad identificare un tipo di esperienza che va oltre l’esperienza cosciente2. Ken Wilber ci parla dello sviluppo transpersonale che arriva a superare i livelli egoici, i normali livelli di funzionamento dell’io, per inoltrarsi nei livelli (o regni, com’egli li definisce) sottili e causali, chiamati appunto trans-egoici3.
Silo la chiama coscienza ispirata, o meglio “coscienza disposta a raggiungere l’ispirazione”, ad identificare un assetto diverso in cui la coscienza può trovarsi e ci spiega le condizioni che permettono di arrivarvi.
Una delle condizioni necessarie è che occorre destabilizzare la centralità dell’io. Vi sono vari procedimenti che sono stati descritti e sviluppati principalmente dalle scuole mistiche sorte all’ombra delle religioni. Procedimenti in cui, per lungo tempo, ci si concentra su un oggetto, visivo o sonoro e, gradualmente, questo assorbe completamente l’attenzione, indebolendo l’io fino a spostarlo dalla sua centralità. In altri casi si cerca una forte eccitazione psico-fisica, con canti danze e movimenti ripetitivi, fino a raggiungere uno stato fisico di tale spossatezza e alterazione per cui i registri cenestesici dell’io non siano più chiaramente identificabili, oltre che a produrre cambiamenti interni dello stato fisiologico del corpo.
Spesso si passa attraverso una trance, ovvero attraverso uno stato in cui l’io personale viene sostituito da un’altra identità, il dio, la musa, un’immagine artistica.
Anche nell’arte si sono fatti sforzi per arrivare all’ispirazione in modo intenzionale. Lasciando da parte l’uso di sostanze psicotrope, in cui non c’è controllo dell’esperienza, alcuni artisti hanno cercato modi diversi per giungere all’ispirazione. Sono frequenti i sogni ispiratori e la necessità di collocarsi in ambienti fisici e mentali non abituali in modo da permettere una diversa disposizione della percezione e della rappresentazione, disposizione che si configura come una particolare sensibilità che permette la comunicazione estetica.
Tra tutti, i surrealisti hanno teorizzato principi e procedimenti affinché l’ispirazione potesse rivelarsi. Ad esempio usavano degli automatismi, come la scrittura automatica o introducevano procedimenti casuali per destabilizzare la centralità dell’io dell’artista (tecniche, quindi, che non permettevano di avere un controllo razionale sui propri prodotti artistici) o si affidavano ai sogni e alla loro irrazionalità per rafforzare dimensioni altre della coscienza4.
Insomma, per salire sulla terrazza, dobbiamo staccarci, come fosse un’inutile zavorra, da ogni identificazione che tenacemente ci lega all’io e ai suoi limiti. Non stiamo dicendo che l’io sia inutile in assoluto -anzi un io labile provoca diversi problemi nella vita quotidiana-, ma che per giungere là, dobbiamo smettere di porre attenzione al nostro video interno. Per farlo, però, prima di tutto occorre smettere di credere che il video sia la realtà. Così, destabilizzato, spostato o sostituito l’io, può avvenire un primo contatto, non accidentale, con questi mondi da cui provengono i significati più profondi della vita umana.
Se il nostro proposito, poi, fosse di andare oltre, potremmo continuare nelle nostre pratiche e raggiungere momenti di sospensione dell’io, momenti che sono porte di accesso a spazi ulteriori della coscienza. Ovvero potremmo mettere in pausa il video e staccarci dalla terrazza per volare nel cielo, liberi da vincoli. Questo livello possiamo intenderlo come una dimensione transumana, la Realtà suprema di Assagioli, lo stato Ultimo di Wilber o con ancora altri termini secondo le diverse filosofie e mistiche.
Silo lo definisce il Profondo. Degli spazi profondi della coscienza non si può dire molto poiché la sospensione dell’io non permette di razionalizzarne l’esperienza: sono ineffabili. Solo ritornando alla veglia, al normale funzionamento della coscienza, l’io riprende la sua centralità e può tentare di recuperarne una “traduzione”, di fare un’interpretazione dei significati ispiratori, che spesso giungono a noi come “reminiscenza” di un mondo trascendente e sacro, luogo da cui promana tutta la nostra realtà.
A questo sembra riferirsi questa citazione di René Magritte con cui vorremmo chiudere: “L’arte evoca il mistero senza il quale il mondo non esisterebbe”5.