Oltre i confini dell’io. Basi di una psicologia della coscienza ispirata
Roberta Consilvio
Ciclo di Incontri “IspirataMente”
Libreria Assaggi – Roma
27 maggio 2012
Buona sera a tutti e grazie per essere presenti. Spero che il mio intervento possa rispondere alle aspettative che il titolo ha creato in ciascuno di voi: “Oltre i confini dell’io, basi di una psicologia della coscienza ispirata.” Questa sera indagheremo una serie di fenomeni psichici appartenenti al gruppo delle manifestazioni dette della coscienza ispirata, cercando di illustrarne la dinamica dal punto di vista psicologico. Il discorso si servirà spesso di termini tecnici relativi al funzionamento dello psichismo umano, ma mi premurerò di definire sempre il significato delle parole che utilizzerò, poiché esse sono state usate dai diversi orientamenti della psicologia con sfumature, a volte, persino contrapposte.
La conversazione di stasera, inoltre, pur centrata saldamente sui concetti presentati dalla Psicologia Umanista Universalista, così come esposta da Silo in numerose opere, è certamente una mia personale elaborazione, basata sullo studio e l’esperienza personale ed è stata pensata e destinata a persone che non conoscono direttamente i testi della psicologia siloista. D’altronde, non pretendo di dire niente di nuovo a coloro che, qui stasera, sono degli accaniti studiosi del Nuovo Umanesimo.
Per cominciare a definire l’ambito in cui ci muoviamo, inizierò presentando degli esempi di fenomeni di coscienza ispirata in diversi campi dell’esperienza umana, poi procederò ad illustrare brevemente uno schema del funzionamento della psiche umana, soffermandomi sui concetti di “coscienza” e di “io”. Questa è una precondizione necessaria per poter illustrare il dispiegarsi della coscienza ispirata all’interno dello psichismo, cosa che farò nell’ultima parte, appoggiandomi su vari esempi e casi.
Fenomeni non abituali Di cosa parliamo stasera? Di cose che succedono a molte persone, ma sicuramente non di frequente e che sono, in ogni caso, lontane dal campo della patologia, pur avendo alcune caratteristiche che le pongono al di fuori della “normalità” dell’esistenza umana. Di pensieri ed emozioni ed immagini che sorgono in certi momenti, ma che non trovano una piena giustificazione nelle attività della vita quotidiana, anzi al contrario hanno il gusto di eventi eccezionali, capaci di instillare in noi il sospetto che la vita e l’essere umano non abbiano i limiti che gli attribuiamo solitamente.
Nei precedenti incontri di questo ciclo, altri prima di me hanno dato esempi di queste esperienze particolari in diverse situazioni. Grazie a Federica Fratini abbiamo visto come nella scienza del Novecento la nuova visione della fisica introdotta da scienziati quali Einstein, Bohr, Planck, parallelamente si nutriva di profonde intuizioni sul senso dell’universo e sulla certezza di una direzione di tutto l’esistente. Fulvio De Vita ci ha mostrato che le immagini mitiche dei popoli, rappresentate nella poesia, nella letteratura mistica e religiosa e nell’arte, sono segnali di esperienze significative di una spiritualità profonda e universale. Rosaria Santoro ci ha spiegato come tutti gli esseri viventi siano intercorrelati a diversi livelli nel delicato equilibrio ecologico e che questa interdipendenza si possa a volte riconoscere in un sentimento di unione con il creato e di amore e rispetto per la vita in tutte le sue forme. Grazie a Simone Casu abbiamo ascoltato che la vera arte è tale perché traduce un modo di esperire il sacro nell’anima dell’artista. Sara Marte e Alessandra Crocchiante hanno centrato lo sviluppo umano nell’aspirazione al superamento della sofferenza. Ruggero Russo e Alessandro Iacovella hanno evocato l’impensabile incontro tra l’essere umano e il fuoco nella preistoria dei nostri antenati, quando una Intenzione Evolutiva si manifestò potentemente affinché quell’essere potesse saltare al di sopra dei limiti imposti dalla sua natura animale1.
Ma al di là di questi esempi suggestivi di scienziati e artisti, noi comuni mortali possiamo avere accesso a qualche tipo di esperienza di coscienza ispirata?
Descriviamone alcune. - Camminiamo per la strada, apparentemente è una giornata come le altre, ma ci sentiamo liberi dai soliti pensieri e dalle preoccupazioni, sentiamo il cuore leggero e un’inattesa allegria sgorga da dentro, accompagnata da luminose immagini del futuro, nostro e degli altri. Perché? Da dove viene quest’allegria? - Siamo innamorati e sentiamo che l’altro è per noi il completamento di tutto ciò che ci manca, nell’incontro sperimentiamo la fusione dei due corpi e delle due menti, dei due cuori, come si dice, in una sola entità, in un unico essere. Questo sentimento di amore totale che accompagna la fase dell’innamoramento, nella storia della relazione tra i due, sarà sempre ricordato come un momento eccezionale e bellissimo. - Ci troviamo in una situazione difficile e complicata, improvvisamente abbiamo un’intuizione che ci dà una nuova comprensione della situazione e ci suggerisce una possibile soluzione. Abbiamo quello che in psicologia si chiama un insight, quell’intuizione che, a volte, hanno gli psicoterapeuti quando, di fronte alla sofferenza dei pazienti, tesi alla ricerca di una via di uscita, hanno una cognizione subitanea delle complesse situazioni esistenziali delle persone che aiutano. - Da svegli, oppure sognando, abbiamo avuto un presentimento, una visione di eventi futuri che, ad un certo punto, si sono avverati e il presentimento si è rivelato esatto! - Di fronte ad un paesaggio particolare, ad un tramonto o immersi nella natura, sperimentiamo un sentimento di perfetta comunione con il creato, una specie di espansione della percezione che ci fa abbracciare l’intero universo, proviamo una profonda commozione, ci sentiamo vivi insieme alla vita che ci circonda e ai nostri occhi tutto appare meraviglioso e permeato di una bellezza sublime. - Ci troviamo in un posto del tutto nuovo per noi, eppure abbiamo la sensazione di aver già visto quei luoghi, di aver già vissuto quella situazione, di aver già provato le stesse emozioni e avuto gli stessi pensieri. Oppure al contrario possiamo descrivere con esattezza luoghi e situazioni in cui non ci siamo mai trovati! - Torniamo a casa, facendo la strada di sempre, eppure vediamo il mondo, le altre persone, noi stessi, in un modo speciale, come se tutto fosse più colorato e acquistasse tridimensionalità, come se tutto fosse diverso, con una luce particolare: vediamo la realtà in un modo nuovo. La stessa realtà ci appare con nuovi significati, diventa essa stessa significativa quando invece nella quotidianità aveva perso ogni rilevanza. Come se il mondo cominciasse ad esistere in quell’istante e anche noi esistessimo lì in quel momento. - Se pratichiamo qualche arte, ad un certo momento sentiamo l’imperioso desiderio di scrivere, disegnare, suonare, avvertiamo il bisogno di rispondere ad un richiamo interiore ed ecco che dal nulla si fa strada una poesia, un disegno, una musica, un’idea, prodotti di una facoltà, tutta umana, che chiamiamo creatività.
Alcune di queste esperienze hanno un che di magico, magari le ricordiamo e le raccontiamo come aneddoti inspiegati e inspiegabili ai nostri amici. Oppure, al contrario, sono talmente fuori dagli schemi e dalle abitudini che riteniamo normali, che non le prendiamo neanche in considerazione, semplicemente ce ne dimentichiamo o le ridicolizziamo. Forse riteniamo che solo alcune persone “speciali” possano vivere davvero queste esperienze: pensiamo ai mistici, agli artisti, ai sensitivi, persone che hanno un dono che noi non abbiamo. Resta il fatto che ci è successo qualcosa che mette in crisi la visione che abbiamo del mondo e di noi stessi.
La psicologia si è occupata, fin dai suoi inizi, di esperienze straordinarie (oltre chiaramente all’interesse per i fenomeni psicopatologici, altrettanto considerati non normali). Lo ha fatto studiando e cercando spiegazioni per quei comportamenti e quelle emozioni che sono presenti nell’esperienza religiosa nelle sue diverse forme, poiché quei fenomeni così speciali mettevano alla prova le teorie psicologiche, tutte tese ad inquadrare la normalità e la non normalità della vita psicologica umana. Freud, Jung e altri hanno studiato le vite dei loro pazienti, anche quelle di figure appartenenti alle religioni e al misticismo, nonché i testi che li ispiravano, per comprendere e spiegare tali comportamenti eccezionali. Primo ad occuparsi di questi fenomeni scendendo al livello della gente comune è Maslow, che negli anni Cinquanta negli Stati Uniti fa un esperimento con i propri studenti universitari, invitandoli ad inviare una risposta scritta alla seguente richiesta o intervistandoli: “Desidererei che lei pensasse alla o alle esperienze più meravigliose della sua vita; i momenti più felici, quelli di estasi, quelli di rapimento, dovuti forse al fatto di amare, o alla musica, o al sentirsi subitamente ‘colpiti’ da un libro o da un quadro, o in seguito ad un qualche momento di creatività. Anzitutto li elenchi. Cerchi poi di dirmi che cosa sente in tali momenti acuti, in qual modo si sente ‘diverso’ rispetto alla normalità, come lei sia, in qualche modo, una persona diversa… (descriva anche) i modi con cui il mondo appare, in quei determinati momenti, diverso.”2 Da questi resoconti personali e dallo studio di una vasta bibliografia riguardante l’arte e il misticismo, Maslow arriva a denominare tali fenomeni peak experiences, esperienze delle vette, descrivendone l’impatto sulla persona a livello del vissuto personale e dei cambiamenti che avvengono nella percezione, nella cognizione e nell’emozione in quei momenti. Alcuni di questi effetti li esamineremo in seguito.
Vi invito a fare altrettanto in questo momento, se potete, ricordando alcuni di questi momenti speciali della vostra vita. Possiamo aiutare nell’individuazione di questi casi straordinari, riportandone una breve descrizione di Silo: “Estasi, ossia situazioni mentali in cui il soggetto è profondamente assorto, abbagliato dentro di sé e sospeso; (…) Rapimento, per l’incontrollabile agitazione emotiva e motoria durante la quale il soggetto si sente trasportato, trascinato fuori di sé verso altri paesaggi mentali, altri tempi, altri spazi; e, infine, (…) Riconoscimento, in cui il soggetto crede di capire tutto in un istante.”3
Quindi abbiamo definito il campo dei fenomeni che ci interessano stasera e, forse, raccontandone alcuni, qualcuno ha potuto ricordare episodi che aveva dimenticato o sottovalutato.
Lo psichismo Ma ora ci chiediamo: cosa accade alla nostra coscienza in quei particolari momenti? Per tentare di dare una risposta, prima dobbiamo inquadrare brevemente il funzionamento normale della nostra psiche e poi vederne le eventuali modificazioni che queste esperienze comportano internamente. Esporrò qui alcuni concetti chiave che descrivono il funzionamento dello psichismo umano dal punto di vista della Psicologia Umanista Universalista, lo farò aiutandomi con alcuni schemi.
Partiamo dal concetto di coscienza. Silo definisce la coscienza come “il sistema di coordinazione e registro messo in atto dallo psichismo umano. Di conseguenza non si considera cosciente alcun fenomeno che non sia registrato, né tanto meno alcuna operazione dello psichismo in cui non rientrino compiti di coordinazione”4. Da subito escludiamo, dal nostro inquadramento concettuale della coscienza, la nozione di inconscio, tanto cara a gran parte della psicologia. Noi non lo prendiamo in considerazione, poiché non potendone avere un registro, ovvero una sensazione, un vissuto, non lo includiamo nella nostra analisi, che vuole metodologicamente fondarsi sul criterio autoevidente della descrizione fenomenologica.
Ed ecco uno schema incompleto dello psichismo umano, che come vedete, risulta essere descrivibile come “una sorta di circuito integrato di apparati e di impulsi”5, che ora vedremo in dettaglio.
In questo schema, in cui abbiamo potuto ricostruire molte delle operazioni che vediamo accadere dentro di noi, manca una cosa fondamentale, manca quel sapore inconfondibile della nostra soggettività, del nostro punto di vista, manca la descrizione del fatto che tutte queste operazioni, quando le compiamo, hanno un soggetto ben preciso: IO. Io ricordo, io immagino, io rispondo con un comportamento o un altro, io faccio attenzione, io sento, in vari modi e con diversi sensi, fenomeni che accadono dentro e fuori di me. Io sono dentro questo corpo, un corpo animato da un intricatissimo circuito di impulsi che vanno e vengono dai diversi apparati, animato da uno psichismo che ha come punto centrale proprio quello che da sempre, da quando ho potuto pronunciarlo, ho chiamato IO. Sembra che tutto quello che facciamo con la mente, con il corpo, nel mondo, abbia un direttore d’orchestra, che sta in qualche punto dentro la testa e che sembra essere il protagonista di tutta la nostra biografia, delle nostre azioni, delle nostre sensazioni. Ma com’è fatto questo io? L’io si basa su dati di memoria, quindi sulla biografia, e sul riconoscimento di determinati impulsi interni, che hanno a che fare con un particolare modo di sentire che esprime la peculiare soggettività della persona. Non è un’unità indivisibile, ma la sommatoria di numerosissime percezioni, rappresentazioni e immagini, che provengono dai sensi e dalla memoria e che vengono registrati dai sensi interni come appartenenti alla coscienza in qualche punto. Non solo, quando la coscienza si rivolge agli stimoli, usando il meccanismo dell’attenzione, è la posizione del punto da cui prestiamo attenzione che si configura come io. La sommatoria di registri, reiterati nel tempo, della percezione della memoria e della rappresentazione (sulla base dei quali siamo in grado di avere un’immagine di noi stessi), e il riconoscimento dell’azione dell’attenzione a partire da un punto (il quale costituisce la radice del registro interno dell’io), rafforzano la presenza puntuale e la compresenza di questa configurazione peculiare, l’io, che si costituisce quale elemento concentratore e sottofondo di tutte le attività mentali (quindi allo stesso tempo fuse e confuse insieme), assumendo caratteristiche di permanenza e di identità.6 Perché noi siamo assolutamente sicuri quando diciamo “io sono questo o quello” e che il nostro io sia con noi da quando ne abbiamo ricordo fino ad oggi.
Ma se eliminassimo i dati dei sensi e della memoria cosa resterebbe del nostro io? E cosa succede al nostro io quando dormiamo profondamente o quando sogniamo, o quando siamo svegli e concentrati in un’attività, o in uno stato di raccoglimento in noi stessi, oppure quando siamo spaventati o preda di emozioni violente? Il nostro io cambia continuamente, oscillando la sua posizione da punti più interni a punti più esterni dello spazio in cui lo rappresentiamo, spazio che chiameremo, più genericamente, spazio di rappresentazione, senza scendere in ulteriori spiegazioni7. In questo spazio, a volte, la sua presenza sfuma completamente, quando ad esempio dormiamo nel livello del sonno vegetativo, altre volte ci sembra sia più esterno, quando siamo presi dalla percezione di oggetti nel mondo esterno, o più interno quando ci dedichiamo ad operazioni interiori di evocazione o immaginazione. Inoltre esso si nutre di percezioni, ricordi, ecc. per cui, inevitabilmente, giorno dopo giorno, l’accumulo di nuovi stimoli esterni ed interni lo modifica costantemente. In questo senso il nostro io non può dirsi né permanente, né sembra possedere caratteristiche fisse di identità, né essere considerato un’istanza sostanziale dello psichismo. L’io è sicuramente necessario per vivere, perché contribuisce a coordinare la complessità delle operazioni psichiche, a darci riferimenti di tempo e di spazio, ma, in quanto processo, esso è in continuo mutamento e diventa tanto più insostanziale quanto più l’analisi dei suoi contenuti venga approfondita. In questo senso l’io si svuota da ogni essenza ontologica, pur rimanendo il suo significato e la sua funzione legati ai contenuti psicologici della coscienza.
Questa concezione dell’io è antichissima, poiché già Buddha, 2500 anni fa, esponeva una teoria della percezione e della cognizione umana in cui decostruiva pezzo per pezzo il fluire dell’esperienza interna mostrandone l’illusoria unitarietà e sostanzialità.8
Anche nelle scienze cognitive si sta arrivando ad una posizione simile. Hofstadter parla dell’io come un epifenomeno della coscienza, sì necessario per la nostra vita, ma in definitiva riducibile ad un’illusione autorinforzantesi che deriva dal funzionamento stesso dei circuiti della coscienza: come negli anelli a feedback, esso è un risultato del circuito e non un punto di partenza; è una conseguenza automatica della percezione. È simpatico l’esempio che egli propone per dare un’idea concreta dell’illusione che deriva dalle operazioni di percezione. Prendendo in mano una pila di numerose buste di carta, buste da lettera, si ha la sensazione che al centro, in corrispondenza di un maggiore spessore dei bordi di chiusura, si trovi una biglia di vetro. In realtà non c’è nessuna biglia, è solo l’illusione della percezione tattile. Allo stesso modo nella coscienza non c’è nessun io, ma solo un sistema di continue percezioni ricorsive delle operazioni di coscienza.
Perché ci interessa sottolineare che l’io è impermanente e illusorio? Perché viviamo in una cultura in cui lo sviluppo della persona viene pensato soprattutto come nascita, rafforzamento e ampliamento dell’identità personale, in cui la centralità dell’io acquista ogni giorno più importanza, man mano che i contenuti psichici più nascosti, inconsci direbbero molti psicologi, vengono via via integrati dalla capacità consapevolizzante dell’io. Questa visione non è errata, è molto semplicemente ristretta e riduttiva, perché nello sviluppo della coscienza umana, sia filogeneticamente come specie, sia ontogeneticamente come individui, ci sono passi che si possono compiere, e si sono compiuti, solo trascendendo l’io, mettendolo da parte e lasciando emergere altre zone e altri contenuti della mente.
Superare l’io Già Maslow nelle peak experiences aveva rilevato che esse avevano la caratteristica di trascendere l’io, di portare ad una fusione con qualcos’altro che non era l’individualità soggettiva ed, inoltre, erano caratterizzate da un modo particolare di esperire lo spazio e il tempo, anzi di non esperirli, poiché la persona sospendeva in quei momenti qualsiasi giudizio sull’estensione temporale e spaziale di sé e dell’esperienza. Le peak experiences sono per Maslow il coronamento dello sviluppo della persona autorealizzata, il mezzo e il fine cui tendere per arrivare al massimo grado di espressione del proprio Essere pienamente umano.
La psicologia transpersonale precisa ancora di più questa concezione dello sviluppo della coscienza umana. Wilber scandisce le tappe del percorso che dalla nascita della coscienza portano a livelli sempre più ampliati di esperienza. Partendo dalla comparsa dei primi contenuti psichici nel bambino, essi vanno organizzandosi in maniera sempre più complessa, ogni volta superando la stessa organizzazione che compensatoriamente si era formata per strutturarli, come un vestito che cominci a diventare stretto per un corpo in crescita. Così, arrivati allo sviluppo dell’io, l’evoluzione della coscienza prosegue verso livelli di esperienza che lo trascendono, regni di esperienze superiori, verso i territori ineffabili e grandiosi della supercoscienza. Questa evoluzione della coscienza, nell’individuo e nella specie umana, egli la ribattezza Progetto Atman, ad indicare un percorso mai finito verso il principio primo che egli considera motore e fine ultimo dell’esistenza di ogni cosa nell’universo.9
Qualche anno prima Assagioli, fondatore della Psicosintesi, aveva parlato di fenomeni supercoscienti della mente umana, di cui aveva affermato: “La realtà del supercosciente non ha bisogno di essere dimostrata; è un’esperienza e, quando ne diventiamo consapevoli, costituisce uno di (…) quei ‘dati della coscienza’ i quali hanno in se stessi la propria evidenza e la propria prova.” Il supercosciente entra nel campo della coscienza in due modi: in senso discendente, quando elementi supercoscienti irrompono producendo in modo spontaneo e inatteso intuizioni, ispirazioni, illuminazioni improvvise; in senso ascendente, elevando l’io autocosciente fino al livello del sé superiore.10
Jung, nel 1921, aveva chiamato questo percorso verso zone trascendenti con il termine ‘individuazione’, ad indicare un progressivo ampliamento della sfera cosciente dell’io verso il Sé, concetto complesso che comprende tutti i fenomeni psichici esperibili, più tutto ciò che ancora non è rientrato nel campo dell’esperienza. Questo Sé può quindi essere descritto solo in parte e per il resto rappresentare una tensione verso l’inconoscibile e l’indelimitabile della psiche umana, essere il luogo e il simbolo della totalità che sintetizza gli opposti di ogni vissuto in un’unica rappresentazione archetipica.11
La coscienza ispirata Praticamente ormai ai nostri giorni, Silo ci indica con precisione il cammino da compiere per arrivare al “Profondo dello spazio di rappresentazione”.12 Il Profondo, che egli assimila al Sé di alcune correnti psicologiche contemporanee, non è un contenuto della coscienza. L’accesso agli stati profondi della coscienza può avvenire solo con una condizione previa: grazie ad una progressiva internalizzazione dell’attenzione, si arriva alla scomparsa dei “rumori” della coscienza, attenuando la presenza di ogni fenomeno psichico ad essa legata (percezioni, rappresentazioni, ricordi, aspettative). “La coscienza, allora, è in condizione di trovarsi senza la presenza dell’io, in una sorta di vuoto. In una situazione di questo genere si può sperimentare un’attività mentale molto diversa da quella abituale”.13 Questa attività mentale molto diversa da quella abituale è legata ai diversi modi in cui può manifestarsi l’ispirazione. Nel percorso verso i livelli profondi della coscienza, il tentativo sarà allora quello di mettere a tacere l’io, cosa che permette alla coscienza di assumere una configurazione particolare cui diamo il nome di “coscienza ispirata”.14
Nell’arte ritroviamo alcuni tentativi per arrivare all’ispirazione in modo intenzionale. Senza tenere in considerazione l’uso di sostanze psicotrope, in cui manca il controllo dell’esperienza, molti artisti hanno sperimentato la necessità di collocarsi in ambienti fisici e mentali non abituali, in modo da permettere una diversa disposizione della percezione e della rappresentazione. I surrealisti sono perfino arrivati a teorizzare principi e procedimenti affinché l’ispirazione potesse rivelarsi: utilizzavano, ad esempio, degli automatismi, come la scrittura automatica, o introducevano procedimenti casuali per destabilizzare l’io dell’artista e per impedire un controllo razionale sull’opera, oppure si affidavano ai sogni e alla loro irrazionalità per rafforzare altre dimensioni della coscienza. 15
È soprattutto nel misticismo di ogni epoca e luogo che la ricerca dell’ispirazione ha dato vita a pratiche e sistemi psicologici di diverso sviluppo, ma in cui lo scopo primario era sempre indebolire la centralità dell’io per far emergere altro tipo di esperienza. Cominciamo dalla trance, presente in molte religioni e pratiche magiche, quale forma più antica di spostamento dell’io ad opera di una forza, di un dio o di uno spirito. Esistono e sono esistite varie forme di meditazione e di concentrazione dell’attenzione che si appoggiano su stimoli visivi e uditivi (come ad esempio con gli yantra e i mantra) e che permettono di raggiungere stati di trance in cui l’attenzione rimane indivisa e viene assorbita da un singolo oggetto, producendo una sostituzione dell’io al centro del campo attenzionale ad opera della rappresentazione cenestesica dello stimolo. È possibile anche arrivare alla sospensione dell’io senza passare attraverso la trance, la dissociazione o la sostituzione dell’io. Parliamo in questo caso di sospensione dell’io per quelle pratiche che mirano a superare l’attività dell’io, quali l’esicasmo (Preghiera del cuore dei monaci del Monte Athos in Grecia) e lo Yoga in India, in cui si punta a stati di quiete mentale dove permanere per un breve lasso di tempo con l’io sospeso.
In questo cammino verso il Profondo, qualsiasi pratica si decida di adottare, è molto importante il come ci si dispone, il desiderio che anima la persona nella ricerca di una particolare situazione mentale per far sorgere il fenomeno. Questo desiderio lo chiamiamo Proposito, ed è ciò che si desidera ottenere come obiettivo finale del proprio lavoro. Il Proposito deve essere memorizzato con una grande carica affettiva, ovvero occorre che il proprio desiderio di raggiungere il Profondo sia un interesse primario e imprescindibile per la persona. Possiamo ricordare qui gli scritti di numerosi mistici cristiani e musulmani in cui tale desiderio li faceva letteralmente “ardere”: erano ossessionati dal Proposito di raggiungere quegli stati particolari e lavoravano senza sosta, pregando e meditando, in una condizione di raccoglimento e di ricerca dell’esperienza mistica di contatto e fusione con la divinità. Senza un Proposito non si può procedere nell’esperienza, non si va da nessuna parte, dato che l’io, in quei momenti, non può essere di nessun aiuto.
Abbiamo detto che tutte queste pratiche tendono a eliminare temporaneamente l’io affinché la coscienza si trovi in una specie di vuoto. Huang Po, maestro del buddismo cinese Chan del IX secolo, lo descrive con queste parole: “Vi è soltanto la vacuità onnipresente della natura reale e autoesistente di ogni cosa, e null’altro”.16 Di questo vuoto non si può dire nulla. Solo si può arrivare a recuperarne il significato ispiratore una volta che l’io, tornato al suo posto, possa fare una “traduzione” di quegli impulsi profondi che percepiamo in modo differente rispetto alla percezione abituale. Queste “traduzioni” sono tali proprio perché, senza l’io, non abbiamo registri diretti di ciò che succede. Ma una volta tornati da quel mondo ispiratore, ci accorgiamo che qualcosa è successo in questa “assenza”, poiché le risposte che diamo non sono le stesse di prima. Grandi poemi e opere artistiche sono nati con l’intento di rappresentare le rivelazioni di quel mondo per condividerle con altri. Si tratta di esperienze di senso profondo della vita, che hanno operato a volte delle vere e proprie conversioni in chi le raggiungeva. Molte delle aspirazioni più grandi dell’essere umano provengono da quel mondo tanto significativo e spesso, in momenti difficili e tragici della storia umana, è da quel mondo che sono arrivati i segnali di una nuova e possibile evoluzione. Anche oggi, nel momento della crisi di un’intera civiltà che stiamo vivendo, molte persone hanno il forte desiderio e la reale possibilità di entrare in contatto con quel mondo da cui proviene ciò che di meglio l’essere umano ha manifestato nel suo passaggio fin qui e che speriamo possa appartenere anche all’essere umano del futuro.
Così, ispirazione dopo ispirazione, ogni volta torniamo al nostro io abituale ormai ridimensionato, poiché ne abbiamo scoperto la sua vera natura non-esistente17. E questo, contrariamente a ciò che si può pensare, paradossalmente si accompagna ad un senso di sicurezza ontologica del proprio essere nel mondo, a confermare che non siamo solo il nostro io, che al di là dell’io vi è qualcosa di più importante che ha il sapore della realtà più vera. Conoscendo i limiti dell’io e avendo sperimentato ciò che oltrepassa l’io, lo stesso esserci-nel-mondo trascende le frontiere della vita sensibile legata al corpo ed è possibile avere la certezza - o anche solo la possibilità di credere e immaginare - che l’evoluzione della Mente possa continuare al di là di ogni recinto corporeo, al di là perfino del limite oltraggioso della morte. Questa possibilità, che offro come un sospetto, un dubbio, un’opportunità, potrebbe sembrare indecente in un discorso che ha cercato di tenersi in bilico tra la scienza psicologica e l’antropologia fenomenologica, ma ogni conoscenza degna di questo nome non ha fatto altro nei secoli che rompere le barriere imposte dalla cultura, dalla tradizione e dalla stessa percezione umana. La morte è uno di quei confini che ancora dobbiamo oltrepassare.
Grazie per l’attenzione.
Bibliografia 1. Silo, Appunti di Psicologia, Multimage, Firenze, 2008 2. Silo, “Psicologia dell’immagine” in Contributi al pensiero, Multimage, Firenze, 1990 3. Abraham Maslow, Verso una psicologia dell’essere, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1971 4. Mario Piantelli (a cura di), Aforismi e discorsi del Buddha, TEA, Milano, 1988 5. Douglas Hofstadter, Anelli dell’io, Mondadori, Milano, 2008 6. Ken Wilber, Il progetto Atman, Crisalide, Spigno Saturnia (LT), 2003 7. Roberto Assagioli, Lo sviluppo transpersonale, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1988 8. Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Torino, 1977 9. Carl Gustav Jung, La psicologia dell’inconscio, Newton Compton, Roma, 1989 10. Federico Palumbo, L’ispirazione nel Surrealismo, Parco di Studio e Riflessione Punta de Vacas (www.parquepuntadevacas.org) 11. Mark Epstein, Psicoterapia senza l’io, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 2008